giovedì 21 agosto 2014

Accorpamento Autorità portuali: richiesto scorporo da Sblocca Italia

Non è così automatico che il decreto ''Sblocca Italia'' preveda l'accorpamento delle Autorità portuali, anche perché questo provvedimento, di enorme portata per le implicazioni che prevede, va accompagnato ad altre riforme nell'ambito della portualità, e non può essere pensato come ''autonomo''. È questo il succo dell'intervento che il Partito Democratico ha presentato in Commissione Trasporti della Camera, facendolo pervenire al Presidente del Consiglio, al sottosegretario alla Presidenza Del Rio e al ministro Lupi. Un documento che condivido e che ho sottoscritto pensando soprattutto alla situazione nella nostra regione. Ciò che condividiamo è l’obiettivo e la necessità di intervenire per rafforzare l'integrazione delle piattaforme portuali e logistiche, per costruire condizioni di maggiore competitività del Sistema Paese, ma il processo di riforma deve poter avvenire all'interno di un disegno realmente innovativo, che individui obiettivi e strumenti (compresa la realizzazione di una significativa autonomia finanziaria) per l'adeguamento delle infrastrutture e per la semplificazione delle procedure. Nella primavera 2014 l'ipotesi di accorpamento di Autorità Portuali veniva presentato in un documento elaborato dal Partito Democratico comprendente un ampio quadro di misure a sostegno della portualità italiana, e tenendo conto anche del lavoro fatto in Commissione Trasporti al Senato e condiviso ampiamente dai gruppi parlamentari, in cui venivano affrontate ad esempio questioni rilevanti ed urgenti quali dragaggi, prp, servizi tecnico-nautico. Peraltro in tale documento si affermava che ''si intendono incentivare le autorità portuali alla collaborazione orizzontale, ovvero alla fusione''. Il semplice accorpamento di autorità portuali non appare oggi una modalità appropriata ed efficace per perseguire realmente tali obiettivi. Per di più l’utilizzo del decreto legge non sembra lo strumento adeguato. Non vorremmo che l'esigenza giusta di fare in fretta andasse a discapito del fare bene. Per questo, con il documento presentato al Governo chiediamo che sia riconsiderata la decisione di intervenire per decreto su questa materia, così come auspicano anche le istituzioni, le realtà imprenditoriali, le rappresentanze del lavoro di molte realtà italiane. Il suggerimento dunque è stato quello di scorporare questo tema dal decreto "Sblocca Italia", optando per Disegno di Legge organico, che consenta di compiere, in tempi certi, un confronto stringente con le istituzioni locali e regionali per individuare modalità utili a realizzare quel cambiamento vero di cui i porti italiani hanno grande bisogno.

lunedì 11 agosto 2014

Grande Guerra: ricordo alla Camera in occasione del centenario

L'intervento letto alla Camera dei Deputati sullo scoppio della Prima Guerra Mondiale.

Esattamente cento anni fa, il 28 luglio 1914 iniziava la prima guerra mondiale, a seguito dell’attentato di Sarajevo del 23 giugno, con la dichiarazione di guerra dell’Impero austro-ungarico e con il conseguente coinvolgimento di tutte le principali potenze europee e con i seguenti schieramenti: da una parte la Germania, Austria- Ungheria e Impero Ottomano, dall’altra Francia, Regno Unito e Impero Russo. Solo un anno dopo il Regno d’Italia entrò in guerra. Ricordo solo alcune cifre di quel massacro: dieci milioni di soldati morti, sette milioni di vittime civili e ventuno milioni di feriti. Tra il milione e mezzo di morti fra i combattenti austro-ungarici si stimano circa trentamila morti di italiani di lingua slava, friulana, veneta e tedesca abitanti dei territori delle cosiddette nuove province corrispondente all’attuale Trentino Alto Adige, provincia di Trieste, Udine e soprattutto di Gorizia. Morti questi militari italiani delle “nuove province” con la divisa dell’esercito austro-ungarico dimenticati per un secolo dalla storiografia ufficiale italiana e austriaca che ha rifiutato di considerare quei combattenti nati e vissuti nelle cosiddette nuove province, subendo l’oblio delle politiche nazionalistiche e delle tragedie del novecento. Solo da pochi anni infatti, nel silenzio generale delle istituzioni, i Comuni dei territori appartenuti alla contea di Gorizia, unitamente ad alcune benemerite associazioni culturali hanno ufficialmente incominciato a ricordare questi caduti e questi italiani combattenti con l’esercito Austro-Ungherese. Un territorio, la provincia di Gorizia che un anno dopo maggio 1915, con l’entrata in guerra del Regno d’Italia ha subito l’immane tragedia del fronte dell’Isonzo e del Carso con più di trecentomila morti tra i soldati italiani e altrettanti fra quelli dell’esercito austro-ungherese, ma che ha visto anche la tragedia dei centomila sfollati tra i residenti in Austria e ventimila in Italia con famiglie, affetti, paesi e comunità divise e abbandonate a se stesse. Di quei militari di lingua slovena, friulana e veneta, militari con divisa austro-ungherese si persero le tracce, considerati questi “austriacanti e nemici”. Alcuni ritornarono dopo anni di prigionia in Russia alla fine della guerra attraversando mezza Europa, il Giappone e il Pacifico non trovando al loro ritorno né la casa distrutta dalla guerra, né la famiglia, né la loro comunità. Oggi questo mio intervento alla Camera non vuole essere solo un ricordo, ma una testimonianza per eliminare l’oblio in cui sono finiti questi giovani militari e soprattutto ricordare ai nostri giovani di oggi quanto importante sia costruire giorno per giorno, ciascuno per la sua parte, nella comunità di appartenenza, in Italia e soprattutto in Europa e nel mondo la pace. Finisco con le parole del giornalista giuliano Paolo Rumiz, in visita al cimitero austro-ungarico di Redipuglia dove riposano quindicimila soldati dell’Impero austro-ungarico e che si trova a cento metri dall’imponente Sacrario di Redipuglia dove sono sepolti centomila soldati italiani. “ Al Sacrario a lettere cubitali incise su pietre “ i morti, la gloria, gli invitti”. La sacralizzazione della guerra, la mobilitazione permanente. Al cimitero austro-ungarico lapidi nell’erba con nomi polacchi, dalmati, slovacchi, tedeschi e magiari. C’era tutto l’Impero austro-ungarico e il suo ordine plurale in quel perimetro minimo di cimitero, qualcosa di molto simile a ciò che oggi l’Europa unita non è capace di essere. Pioveva sulle tombe degli italiani e degli austro-ungarici, il quadro sembrava completo ed equanime ma vivaddio mancava una cosa: la mia gente. Dov’erano i triestini , gli istriani, i goriziani e i trentini? I figli delle terre conquistate dall’Italia nella grande guerra, non gli arditi che avevano scelto di scavalcare le linee per combattere col tricolore: ma gli altri, cento volte più numerosi, coloro che, prima di essere ribattezzati “italianissimi” erano stati “austricanti “ e perciò “nemici”. I nostri vecchi andati in guerra “fùr kaiser un Vaterland” sotto la bandiera giallo-nera. Dalle mie parti, bastava grattare un po’ sotto l’epopea del gli irredentisti perché uscissero i racconti sui nonni in divisa austriaca. La loro memoria era ben sveglia nelle terre strappate all’Impero. Ma quella notte a Redipuglia cambiava qualcosa. Stavolta erano i ragazzi di Redipuglia, erano gli italiani a dirmi: “vai nei giorni dei morti, va da chi non ha tomba. Vai dagli innominati, dai dimenticati della storia. Solo dopo ritorna da noi” Per non dimenticare.