martedì 25 gennaio 2011

Piano casa: fallimento!

Riporto la nota inviata sul Piano casa assieme al collega Iacop.


I consiglieri regionali del PD, Giorgio Brandolin e Franco Iacop, intervengono in merito alle disposizioni regionali in materia antisismica che rallentano e ostacolano gravemente le attività edilizie con una burocrazia fuori dal tempo e dalla realtà e registrano anche il flop del “Piano casa”.

Dopo gli operatori del settore, tutti si stanno accorgendo delle ulteriori difficoltà in cui va incontro l’edilizia, con l’applicazione della L.R. 16/2009, riguardante le “norme per la costruzione in zona sismica e per la tutela fisica del territorio”.
Il gruppo consiliare del Pd, in tempi non sospetti, aveva criticato i contenuti della norma ed ora in avanzata fase applicativa, il settore dell’edilizia regionale e di conseguenza l’economia regionale, scontano amaramente le dolorose conseguenze generate da una severità procedurale assurda e “barocca”.

Il disappunto è ancor di più accentuato in quanto, trovandoci in una zona d’Italia dove il rispetto della legalità e delle norme è un fatto del tutto scontato e normale, si è costretti ad affrontare difficoltà burocratiche senza precedenti e forse, anche senza grandi significati per ciò che le nuove norme vogliono tutelare in un territorio come il Friuli dove la cultura antisismica è un dato acquisito e consolidato.

Le rimostranze dei due consiglieri regionali del PD sono dirette nei confronti dell’attivazione di procedure complesse da superare, in forma assolutamente indifferenziata, per ogni tipo di costruzione, dal grande capannone al deposito attrezzi.

“Verrebbe da chiedere – interpellano Brandolin e Iacop - a quegli amministratori regionali di maggioranza, paladini di sostegni all’edilizia, di snellimento e di semplificazione delle procedure, se oggi si rendono conto della portata disastrosa che le incombenze previste comportano a questo settore, già di per se in grave difficoltà a causa della crisi e della indisponibilità di risorse economiche e finanziarie dei cittadini.”

Molti si chiedono che fine abbia fatto il Piano casa, certamente una buona idea, ma chi riesce ad attivarlo e con quali denari? Tra i vari benefici promessi dalla Giunta regionale, il “piano casa” doveva dare una boccata di ossigeno al sofferente settore delle costruzioni, in particolare alle piccole imprese e agli artigiani specializzati in opere residenziali. Invece, ad un anno dall’applicazione della legge regionale n.19/2009 – sostengono Brandolin e Iacop - ben poche sono le domande di ristrutturazione e ampliamento in base al “Piano casa” . basti pensare che le pratiche presentate nella città di Udine sono solamente una sessantina. Un volano pesante quindi che non ha alimentato quell’onda di piccoli investimenti da più parti auspicata.


Oppure dov’è finita la tanto vantata semplificazione delle procedure sugli appalti delle opere pubbliche?
Oggi, mentre stanno partendo i lavori della grandi infrastrutture stradali (collegamento “Villesse-Gorizia” e terza corsia A4), appannaggio delle grandi ditte di costruzioni, le piccole e medie imprese edili sono praticamente ferme ed i professionisti del settore debbono tormentarsi nel produrre una serie infinita di atti, anche per la costruzione della legnaia. Si rallenta così l’inizio dei lavori, si bloccano i cantieri, impedendo ogni tipo di ripresa, in attesa di verifiche e calcoli doppi e tripli, che certifichino la bontà e la competenza di progettisti, di calcolatori e collaudatori. Ma non ci sono già fior di professionisti che lavorano, calcolano, progettano e si assumono con la loro firma ogni tipo di responsabilità?
Tutto ciò ha messo in moto un guazzabuglio procedurale, che non sarebbe accettabile per le strutture di particolare importanza figuriamoci per il garage o l’ampliamento di un locale di servizio.
L’”odissea” procedurale è a dir poco insopportabile.
Evidentemente – affermano i consiglieri democratici - chi ha approvato la legge 16/2009 non si rende conto del danno prodotto al sistema economico, in primis alle PMI e infine al cittadino committente.
Nonostante le denunce inascoltate della minoranza consiliare che sollecita da tempo una revisione della normativa, la pesante situazione burocratica sta sempre più congestionando gli uffici tecnici regionali e comunali, sommersi dalle pratiche, paralizzando l’attività dell’edilizia e creando grossi problemi all’economia, penalizzando fortemente chi sta investendo con la costruzione, oltre all’edilizia residenziale, di nuove infrastrutture (stabilimenti industriali, opifici artigianali e capannoni agricoli).
Chi ha creato il guaio (Tondo & co) – concludono Brandolin e Iacop - non deve limitarsi ai proclami ma deve riparare i danni provocati dall’approvazione di disposizioni assurde in Consiglio regionale, dal valzer degli assessori e dalla confusa nonché inefficace riorganizzazione degli apparati regionali, intervenendo subito per un tempestivo aggiustamento interpretativo della norma con l’obiettivo mirato ad una reale semplificazione dell’attività edilizia che consenta di risollevare un settore fondamentale per l’economia regionale.

GIORGIO BRANDOLIN –
FRANCO IACOP

lunedì 24 gennaio 2011

La posizione del PD sulla Tav

In relazione all'assemblea svoltasi a Jamiano sul tema del nuovo tracciato del Corridoio 5, preciso che il Partito Democratico regionale discuterà della questione dell'Alta velocità/Alta capacità nell'ambito di un incontro convocato dalla segretaria regionale Debora Serracchiani il giorno 12 febbraio 2011. L'incontro tratterà del tema delle infrastrutture in generale e, in particolare, anche delle nuove ipotesi di tracciato di Alta velocità. L'incontro servirà a elaborare una posizione unitaria del PD regionale, non ancora definita al momento, visto che il nuovo tracciato è stato reso noto solo dieci giorni fa.

Ribadisco quindi che le posizioni da me prese nel corso dell'incontro svoltosi a Jamiano sono posizioni personali, e note da tempo: ho infatti sempre ritenuto indispensabile realizzare tutti i componenti del Corridoio 5 (strade, corridoi energetici, corridoi telematici, Alta velocità e Alta capacità) e, per quanto riguarda l'Alta velocità, la mia proposta è che ci si fermi al polo intermodale che dovrà essere realizzato davanti all'aeroporto di Ronchi dei Legionari, proseguendo quindi nel tratto seguente solo con il potenziamento delle linee già esistenti; posizione peraltro condivisa anche dal consigliere Franco Brussa.

mercoledì 12 gennaio 2011

L'intervista sul Piccolo

«Vescovini ha ragione, dobbiamo svegliarci»

12 gennaio 2011 — pagina 07 sezione: Gorizia

di ROBERTO COVAZ
Bono e Vescovini da una parte, Confindustria e Camera di commercio di Gorizia dall’altra. La sfida, impari in partenza, è cominciata. E dagli spalti Fasola incita alla secessione da Gorizia. È il caso di mettere il pallone al centro in questo dibattito dai toni aspri ma dai contenuti essenziali per pensare al futuro della nostra provincia. Ci prova Giorgio Brandolin, consigliere regionale Pd ed ex presidente della Provincia, quella Provincia dell’unità e dei servizi plasmata in due mandati e che ora sembra sbriciolarsi. Il tutto nel silenzio assordante della politica goriziana e del Pd, cui Vescovini appartiene, tutto teso a cercare un improbabile equilibrio ad uso interno che ricorda concetti impalpabili da prima repubblica come le convergenze parallele. Altro che starsene zitti, bisogna discutere, capirsi, scontrarsi semmai; purché si venga a capo di un progetto-Provincia.
Brandolin, perché Gorizia tace?
«La politica goriziana tende a chiudersi attorno al suo castello e non vuole vedere ciò che accade a monte e a valle dell’Isonzo. Meno male che c’è Romoli».Ha detto proprio Romoli?«Sì, lui è il vero presidente della Provincia. È lui che conta in Regione, lui che parla con Tondo, lui che interviene sul superporto, lui che decide le linee sulla sanità. Peccato non sappia essere più coinvolgente; dà l’impressione di seguire solo gli interessi più vantaggiosi per Gorizia».
Da cui vuole scappare Fasola...
«Fasola è preparato e intelligente ma ha il difetto di origine di essere visceralmente anti-goriziano. Non credo che il Monfalconese avrebbe vantaggi sotto Trieste. Anzi. Dobbiamo ridiventare più autorevoli e stare alla larga dai soliti potentati che mirano ai nostri porto, aeroporto, eccetera».
Pare di leggere una critica a Vescovini che boccia senza mezzi termini la politica isontina?
«Niente affatto. Il mio amico Di Bert, presidente degli industriali di Gorizia, già un anno fa ammise pubblicamente che Assoindustria isontina doveva collegarsi a quella di Trieste. Vescovini, come Marchionne e Bono, ci sta dicendo che il mondo è cambiato. Serve un nuovo approccio alle relazioni sindacali. Dobbiamo cambiare tutti, politici, industriali, sindacalisti. Purtroppo il pesce puzza dalla testa; in questi anni Berlusconi ha bellamente ignorato la necessità delle riforme pensando solo a risolvere i suoi guai».
Ha qualche suggerimento?
«Quando diventai presidente della Provincia nel 1997 l’Isontino era in crisi. Creammo, soprattutto grazie a pensatori del calibro Enzo Bevilacqua e Lorenzo Papais, un tavolo di confronto con tutte le categorie coinvolte. Così nacque una giunta in cui c’era un vicepresidente sindacalista, Vittorio Brancati, e un imprenditore, Luciano Migliorini. Una giunta che era il punto di sintesi delle istanze del territorio. Penso si debba tornare al confronto senza pregiudiziali. Si parla di crisi del lavoro e si pensa agli operai. Giusto, ma non sono mica loro le sole vittime. Pensiamo agli artigiani, ai laureati disoccupati, all’esercito delle partite Iva. Dobbiamo saper dialogare in un modo, nuovo, con Fincantieri e in un altro modo, sempre nuovo, con l’azienda di dieci dipendenti. È finita la stagione di certe rivendicazioni».
Ci vorrebbe una Provincia più forte e forse serviva un dibattito più approfondito sulla candidatura del presidente Pd?
«In cinque anni nessuno all’interno della maggioranza che sostiene Gherghetta l’ha pubblicamente criticato. Dunque, giusto evitare le primarie e ricandidarlo. Deciderà la gente».
Si stanno sfarinando le peculiarità della nostra provincia, pensiamo ai servizi tanto faticosamente accorpati sotto la sua presidenza.
«È vero, allora bisogna guardare altrove. Penso alla collaborazione transfrontaliera nel maggior numero possibile di settori, penso all’opportunità di saper accettare e sfruttare le infrastrutture che interesseranno l’Isontino. Ma per ottenere questi risultati abbiamo bisogno, ripeto, di autorevolezza in chi rappresenta le istituzioni. Oggi, a parte Romoli, non c’è».
Cartina di tornasole sulla salute dell’Isontino è la sanità. Sull’Area vasta con Trieste è possibile invertire la rotta?
«No, la partita è ormai persa».

martedì 11 gennaio 2011

Fincantieri e la mancata firma

L'argomento principale delle vicende di questi ultimi giorni non può essere la critica a Fincantieri per la decisione di non rinnovare l'adesione alla Confindustria locale. Il vero punto focale della questione, a mio giudizio, è invece il dover constatare che l'organizzazione del lavoro pensata negli anni '80 e '90 (che vedeva gli operai schierati da una parte e la direzione aziendale dall'altra) è ormai tramontata, e che ci si dovrà muovere di conseguenza.

È inutile quindi agire ''per partito preso'', si deve iniziare a invece ragionare sul fatto che siamo tutti sulla stessa barca: quello che interessa alle aziende è continuare a lavorare, e quello che interessa alle persone è trovare un lavoro o mantenerlo. Invece di andare allo scontro, come invece si sta facendo, si dovrebbe superare la contraddizione sindacati-azienda. Questo, chiaramente, non significa che si deve derogare da diritti acquisti e sacrosanti che non vanno toccati, ma sicuramente significa che si dovrà riflettere sul modo di organizzare il lavoro anche a Monfalcone, non pensando magari solo alle garanzie dei lavoratori ma anche a chi nel mondo del lavoro non riesce più ad entrare, come i giovani.

Si tratta di un compito che non può essere della politica locale, bensì del governo nazionale, sulle orme di quanto hanno fatto altri esecutivi: mi viene in mente Ciampi con la ''nuova concertazione'', un sistema che adesso è passato e che si dovrà superare con altri interventi, magari trovando uno strumento più agile, che possa essere adattato alle esigenze dei vari territori. Un altro esempio, nel nostro piccolo, lo abbiamo con l'azione provinciale nell'ambito del Patto Territoriale, che puntava proprio a trovare delle risposte adatte alle esigenze locali, mettendo assieme tutti i soggetti interessati. Purtroppo il governo è invece immobile e delega agli imprenditori il compito di ripensare il lavoro: una cosa assolutamente inaccettabile.